LA FECCIA (Nulla Die 2021)

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dalla prefazione di ANDREA G. G. PARASILITI

La feccia, residuo della botte impasto evacuazione intestinale come da definizione etimologica, ha, sorprendentemente, nel caso di Farruggio il sapore dolce-amaro del reale e della ricerca trascendentale, di una verità corpuscolare allergizzante, del “rimpianto di non aver potato i rami del nulla”, da godere, come sembra giustamente consigliare il poeta all’interno del suo omonimo volume, “sopra un tappeto di ortiche”.

dalla recensione di PASQUALE ALMIRANTE (La Sicilia 20/2/2021)

Andrea Parasiliti, che firma la prefazione, sogghigna di sedimenti del peggio delle sue poesie, ma è così? O è invece esattamente al contrario, come la migliore ironia retorica suggerisce? E non potrebbe essere altrimenti, per chi non conosce i precedenti letterari dell'autore, anche perché, queste pubblicate sono, come direbbe il critico d'arte, di nobile fattura, di accurato disegno e felice realizzazione.

L'ULTIMA PAROLA (BookSprint 2018)

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dalla prefazione di DOMENICO CIARDI

Il poeta, come il monaco, l’emarginato, il carcerato … colui che sta sulla frontiera, cerca un’ultima parola, quella che dia un senso a tutta la sua vita, per ritrovare sempre e nuovamente la forza e il coraggio nel duro mestiere di vivere. Cerca un’ultima parola contro ogni sentenza di morte, contro ogni ombra di morte che vuole prendere possesso del nostro cuore. Ritroviamo nella poesia di Luca la rappresentazione di questa lotta. E già il dirla con le parole, far emergere l’indistinto, il confuso che si agita nel cuore, è un passo verso una pace più duratura.

DELLA LUCE NON CONOSCO IL MISTERO , LA VITA DEL POETA (YouCanPrint 2016)

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dalla premessa dell’autore

Quando ho iniziato a scrivere "Della luce non conosco il mistero" mi trovavo presso il Monastero di Bose a Ostuni. La vita monastica, per molti, sembra una vita facile, ma non è così! Molte sono le giornate in cui, pur pregando e vivendo in fratellanza, la mia mente diceva: “Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?”. Questo grido di disperazione ha tuonato più volte nel mio spirito; e accade pure ora che non conduco una vita monastica [...] Il protagonista potrebbe essere ciascuno di noi, ogni uomo che vive la sua odissea nell’angoscia di non trovare risposte definitive alle inquietudini che affollano la sua mente. Un uomo per lo più disperato… Il padre, invece, è Lui, Dio Padre, nei suoi panni di genitore buono, accogliente e misericordioso. Ma anche misterioso… Infatti, se siamo sinceri con noi stessi, dobbiamo ammettere che durante il cammino cristiano (chi può dirsi cristiano se non colui che si sforza di imitare il Cristo?) è facile smarrirsi e perdersi. Così in un lampo, la luce sembra essere soffocata sotto il peso del nulla… una condizione tremenda che ci spinge verso l’ignoto e l’indefinito. E allora, come solo un figlio sconfortato e senza speranze riesce a fare, ecco l’invocazione sotto la forma del grido. E Dio c’è, silenziosamente risponde! Non perché lo si vede (“Dio nessuno lo ha mai visto”), ma lo si “sente”… non tarda a scaldare il cuore e a tendere la Sua mano sul capo dell’uomo, per ricordarci che soltanto l’Amore riesce in tutto (“l’amore vince ogni cosa”). Così questo dialogo tra Padre e figlio si fa vivo e rinvigorisce una relazione che sana il corpo, la mente e lo spirito. [...] La via smarrita, forse, è stata ritrovata. Non tutte le domande hanno trovato una risposta precisa. Tuttavia c’è sempre l’amore del Padre a sostenerci in questo percorso tutto umano e, allo stesso tempo, misteriosamente divino.

BUGIE ESTATICHE (Il Filo 2006) (II ed. 2015)

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dalla postfazione di ENZO BIANCHI

In questi scritti del giovane autore si avverte febbrile entusiasmo e vita che erompe a fiotti e scorre copiosa, vita versata, non trattenuta […] ma anche vita che si placa in slarghi di pura contemplazione, come nella poesia L'indicibile, composta sul monte Athos, la sacra montagna… Qui Luca Farruggio sembra far sue le parole di Marianne Moore «il sentimento più profondo sempre si mostra tacendo», avviandosi verso spazi di luce mediterranea, chiara, pacificata.


Prefazione di MANLIO SGALAMBRO

Un noto pensatore tedesco ha detto che dopo Auschwitz non si possono scrivere poesie. La responsabilità davanti alla stessa poesia ci imporrebbe di riflettere sul divieto. Ma i massacri non hanno mai fermato i poeti. Stendere la bellezza sulle sciagure, è parso anzi, come si sa, uno dei compiti dell'arte. Là dove il bello appare tutto si trasforma: non è così?
L'impiccagione delle ancelle, nel ventiduesimo canto dell'Odissea, trasforma in diletto lo stesso massacro: «Coi piedi scalciavano; per poco, però, non a lungo». La terribile catarsi l'ha purificato.
Il toro di Falaride sublima in musica le orribili grida.
In ogni caso, mio giovane poeta, le auguro che sia presente in lei quello che abbiamo chiamato «responsabilità». Non si fa poesia impunemente.

Intervento di MASSIMO DONA'

Questo, forse, testimonia Luca Farruggio… Un continuo lottare; vagare e cercare, quasi un disperato rammemorare, felice anche di pochi attimi di illusione. L’esistenza d’altro canto non perdona; promette e tradisce, elargendo insensati pulviscoli di niente. Eppur va vissuta. Un imperativo di certo ingiustificato ci ammonisce ed irretisce. E ci impone l’azzardo. Donandoci il verbo della testimonianza, ci invita alla danza delle sensazioni. Ci muove oltre ogni riluttanza, ed ogni volta, insistente ci prova… ad indicarci la meta. Si, ci prova. Ma si tratta di un vero e proprio paradosso. Una meta che non c’è infatti quella che si staglia all’orizzonte; anche se visibile e presente come il sole accecante – lo stesso che muore ad occidente. Insistente. Ed illumina sempre il medesimo niente. Certo, ricco di sorprese; incidenti, visioni e brividi esaltanti, momenti di consumata eternità… capace persino di sparire. Di smentire, o almeno di sfiorire, anche se sempre e comunque sullo sfondo di un reale assai poco convincente. Per quanto ammaliante, ed irresistibilmente invitante. Ad ogni modo, nulla ci persuade in questo scenario – e come potrebbe essere altrimenti? Eppure… ogni possest incarna anche l’ilare eco di un’inconsumabile gioia. Non nostra, evidentemente; e non durevole. Di sicuro irreale e in fondo spettrale; ma bastevole a dire, e a perpetrare, forse un sempre lucido mentire.

dall'Intervento di ALESSANDRO ARESU

Ciò vale anche per la “compagna di viaggio” per eccellenza della parola poetica, la musica senza cui la poesia diventa prosa. Se la musica che anima il viaggio di Dante è un’armonia delle sfere che culmina in una sinfonia in cui tutte le voci del Paradiso giungono a cantare insieme in una voce sola che non elimina le differenze, potrei definire la musica di Shakespeare, “rubando” le parole ad una delle poesie che seguono, “impalpabile”, un vero e proprio “contrappunto del viaggio”. Viaggio a cui non può sottrarsi chi guarda faccia a faccia la domanda, e quindi si trova sì nell’estasi, ma in quell’estasi che è sempre duramente coinvolta con le vicende di quaggiù. La sua è l’estasi di un “girovago”, perché il suo stesso contegno lo “destinò a codesto cammino”, e non può “fuggire dalla sua stessa mano”. Ed è insieme l’estasi di un Giano Bifronte, quando ritorna sull’immagine offerta dallo specchio che egli stesso è, e non la chiama verità, ma “bugia”. Bugia estatica. Non solo il profeta, ma anche il poeta deve perciò fare i bagagli, abbandonare le “isole dei beati” e diventare preda del viaggio, diventare fino in fondo “girovago”, navigando per i mari estremi “dove danzano le barche”, per corrispondere alla sua stessa chiamata o per afferrare una nuova terra.

GESU' AL BAR (&MyBook 2010) (II ed. 2017)

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recensione di CARMELO AREZZO

Nel tempo intorbidito della contemporanea quotidianità, la frequentazione dei percorsi ovattati della poesia appare sempre più irrimediabilmente periferica, quasi una sorta di riserva indiana nella quale provare a collocare il passaggio, a volte incauto, sempre affascinante, tra la metafisica e l’ossessione della realtà. Ci prova con sapienza e con autentica spietata lettura di se stesso, in questa preziosa breve silloge poetica, «Gesù al bar» (& MyBook – 2010) il giovane Luca Farruggio, filosofo, laureato al San Raffaele di Milano, dove si sta specializzando in filosofia della storia, e che ha già al suo attivo un’altra raccolta poetica, «Bugie estatiche», ed un intrigante prova di narrativa, «La scomparsa di Colmapotra». E ci prova con lucida maturità, nonostante la giovane età (Luca Farruggio è nato a Catania nel 1984), chiamando a raccolta i suoi maestri, da Massimo Cacciari a Manlio Sgalambro, al preziosissimo Tommaso Landolfi, e procedendo in una direzione che costringe il lettore a rivedere la propria dimensione esistenziale.
Affolla la prima parte di figure, e scarnifica i volti ed i gesti di un irrinunciabile Francesco d’Assisi, si aggancia timoroso alla grandezza incantata di Alda Merini, rievoca la grande letteratura, si spezza davanti alla fragilità del dimenticato, dell’esule, dell’anonimo viandante, perché nella logica imperante del consumismo e del diktat mercificante anche i nuovi dialoghi tra Gesù e Pilato e Giuda e il mondo trovano la apparente banalità brutalizzata di un bar rumoroso e di un silenzio assordante.
Poi è il tempo del vuoto e della riscattante catabasi, verso la luce e oltre il buio, ma con la consapevolezza di antologizzare e schedare i sogni e le illusioni, i silenzi e le rinunce, la dimensione onirica del mistero accanto alla certezza della redenzione. In questo spazio che è racchiuso tra un prima ed un dopo ed è il presente irrisolvibile, Farruggio è in spietata autoanalisi, ma si fa testimone ed apostolo di una nuova speranza.
Quella stessa che subito dopo, nella terza conclusiva parte del libro, lo conduce verso gli amori, verso la intensità della relazione umana, verso la ricchezza del sorriso e del provare a capirsi, dove è più importante a volte la parola che l’essere compresi, perché «mi hai lasciato il pensiero/ che solo il sogno è reale,/ ma mi hai donato pure / il bisogno di amare…».
E quando il poeta rilancia l’appuntamento della vita al prossimo dolore, è intensa la lancinante ferita dello scoraggiamento, ma è anche superata la dimensione dell’irrisolto, perché il bar della quotidianità si affollerà dei tanti Gesù di una convinta resurrezione.

A CUORE PURO (YouCanPrint 2011)

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dalla prefazione di GIOVANNI OCCHIPINTI

I versi che in questo momento scorro come i grani di un rosario sono mossi dallo slancio di un'anima che mai si ritrae e sfida, nel bene, i valori di una scelta che sembra emergere dalle radici di una fede appunto ardimentosa. L’itinerario di Dio, qui, pur tra spunti da teologia della fede, e con qualche nota ora dolorosa ora gaudiosa, rivela l’anelito a una conquista come bene sommo, al di là del nostro cammino esistenziale e terreno. Luca parla da conquistato e da conquistatore, pur tra rovelli, di una luce nuova di trascendenza.